Il 14 novembre si snoderanno per Milano due diversi cortei legati dal fine
comune di difesa dei diritti basilari dei lavoratori. La FIOM in sciopero
generale accompagnata dai sindacati di base dei SICobas da una parte e USB più
altre realtà cittadine quali Cantiere e Autonomia Diffusa Ovunque dall'altra. A
ciò si aggiunge lo sciopero annunciato a livello nazionale dei trasporti che si
preannuncia pesante e deciso in tutti i maggiori centri metropolitani.
A muovere il corteo FIOM sono le parole d'ordine "lavoro,
legalità, uguaglianza, democrazia" e si preannuncia un duplice intervento
di Landini e Camusso a fine manifestazione. Curioso come la presenza della
segretaria CGIL sia accettata in quest'occasione, considerando il patto siglato a gennaio
2014 da quest'ultima insieme a UIL, CISL e Confindustria. Patto che in poche
parole esclude, nei fatti, qualsiasi tipo di rappresentanza per i comitati di
base, costringendo i lavoratori a orientarsi esclusivamente verso i tre sindacati
confederali che assurgono a bestia a tre teste dalle funzioni ben poco chiaro,
e limitano fortemente il diritto allo sciopero. Le apparenze sono ovviamente
salve -in caso di sciopero non saranno sanzionati i singoli lavoratori ma le
organizzazioni a cui fanno riferimento, e per loro i delegati- ma in una realtà
come quella italiana, dove la conflittualità nei luoghi di lavoro a difesa di
condizioni che siano anche solo accettabili, non è certo portata avanti dalla
triplice, che si è quindi blindata in vista di un prevedibile aumento diconflittualità, alimentata anche dalla crisi.
Lo stesso Landini, dopo aver fatto la voce grossa, si era rassegnato
all'obbedienza agli ordini della sede centrale. Eppure, passato neanche un
anno, la Camusso si è ripulita le mani e assurge a difesa dei lavoratori con
grande sventolio di bandiere, agita lo spettro di un ipotetico "sciopero
generale" senza che nessuno abbia la capacità di concretizzarne
fattibilità e finalità pratiche. La mascherata non è, però, ben riuscita: è
ormai fin troppo chiaro che la CGIL ha perso ogni incisività e ha, soprattutto,
assunto un ruolo di mediazione tra gli interessi del lavoro e le necessità del
capitale, sbilanciato a favore di quest'ultimo. Lo si è visto nella mancanza di
azioni dirette per contrapporsi alle riforme portate avanti dagli ultimi tre
esecutivi (Monti, Letta, Renzi) che sono state un attacco frontale ai diritti dei lavoratori, arrivando
a sostenere il referendum di un partito fascista come la Lega Nord (che ha
mostrato una chiara svolta a destra sull'onda europea scendendo in piazza con CasaPound) per
la modifica della riforma Fornero. Appellarsi a forze che ormai non esistono
più, che ormai non sostengono più certe dinamiche, per minacciare scioperi e
blocchi del Paese non ha alcun fondamento reale, fa teatrino buono per
telegiornali, controrepliche del governo e per cercare di mantenere intatta una
credibilità che è andata a sgretolarsi sempre di più nel corso degli anni.
I SICobas, che nell'ultimo periodo si sono fatti protagonisti di una
concreta difesa dei lavoratori, soprattutto nelle aziende della logistica
(parlando di TNT e Ikea, per citare solo alcune
tra le decine di lotte che vanno a costituire un reticolo su tutto il
territorio nazionale) attaccate più volte dal sistema di potere PD-CGIL-Cooperative, ben collaudato in Emilia Romagna,
sono stati l'obbiettivo principale del patto tra la triplice e Confindustria, riuscendo
però a mantenere la capacità di mobilitazione e agitazione negli stabilimenti.
Sono anzi diventati il principale referente per tutti gli operai che si sono trovati
in situazioni di sfruttamento vero e proprio, e tutto questo a ennesima
dimostrazione che la vera politica di opposizione si fa ai cancelli e nelle
fabbriche, non sui telegiornali. Scendono in piazza con la FIOM proprio per
evidenziare le contraddizioni di un sindacato che si vorrebbe come ormai non è
più: conflittuale e pericoloso per gli equilibri di potere.
Rifarsi a tutt'oggi a un ipotetica classe lavoratrice parlandone come di un
blocco unito è pura fantasia, ma è necessario che si faccia finta che ci sia
perché quando la realtà irrompe allora non si può più credere alle favole e
diventa duro sopravvivere. La classe è, ad oggi, disgregata in una miriade di
problemi soggettivi creati dalla diversità dei contratti, dalla scomposizione
dei sistemi di produzione che hanno mandato in pensione il vecchio modello di
fabbrica; gli slogan FIOM possono essere romantici ma rimangono questo: slogan,
e con le parole non si cambia nulla. L'azione che è stata invece portata avanti
dai sindacati di base ha invece dimostrato quale sia uno dei metodi possibili e
produttivi all'interno delle dinamiche di lavoro: riconoscere i nuovi soggetti
(migranti, contratti a progetto ecc.) e andare incontro alle loro reali
necessità senza se e senza ma, ricostruire un modello sindacale orizzontale e
che sia veramente interno alla composizione operaia.
Questi equilibrismi sono importanti per un analisi complessiva delle dinamiche universitarie.
Le rappresentanze studentesche sono totalmente delegittimate dallo stesso
strumento che le giustifica: il voto. Il tasso di astensioni si aggira attorno
al 90% (con picchi
paradossali del 100% per alcune facoltà) e la loro stessa esistenza è
funzionale ad interessi politici di partiti che, senza eccezione, hanno
demolito l'istruzione pubblica tagliando fondi senza alcuno scrupolo. Di
contro, i numerosi gruppi che si trovano tra le mura della Statale riescono a
incidere ben poco sulla massa degli studenti, anche loro relegati alla
marginalità dall'idea comune di essere un residuo del passato; il fare
affidamento ai soliti slogan triti e ritriti e a un immaginari completamente
fuori dal tempo non aiuta di certo. Da qui la necessità di re-intervenire
trasversalmente a una soggettività studentesca completamente molecolarizzata,
di reinventare linguaggi e pratiche sulla base delle necessità reali che
emergono dal vissuto quotidiano.
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