domenica 21 dicembre 2014

Fantasia di una camminata in montagna

“Non è la facoltà di parlare che pone il potere, è la facoltà di parlare in quanto si irrigidisce in un ordine, in un sistema di regole, la lingua. La lingua, dice Barthes, mi obbliga ad enunciare un'azione ponendomi come soggetto, così che da quel momento ciò che faccio sarà la conseguenza di ciò che sono; la lingua mi obbliga a scegliere tra maschile e femminile, e mi proibisce di concepire una categoria neutra; mi impone di impegnarmi con l'altro o attraverso il “voi” o attraverso il “tu”: non ho diritto di lasciare imprecisato il mio rapporto affettivo o sociale. […] Conclusione: “a causa della sua stessa struttura, la lingua implica una relazione fatale di alienazione”. Parlare è assoggettarsi: la lingua è una reazione generalizzata. Di più: “ non è reazionaria né progressista, essa è semplicemente fascista: perché il fascismo non è impedire di dire, è obbligare a dire”.[1]

E' complesso. Definire la lingua come apparato di potere. E' davvero così?
Lo è, ma come ogni apparato di potere, scrive Umberto Eco, si fonda su delle convenzioni sociali.
E una convenzione, in quanto tale, è pur sempre ribaltabile. In ogni momento, poiché si fonda sulla volontà del singolo che diventa volontà comune.
E' quindi solamente attraverso la volontà comune/il Comune che noi possiamo ribaltare le convenzioni.
La convenzione, ogni convenzione, è una magia, come le leggi, come lo Stato, come il capitalismo.
E per combattere una magia, dobbiamo prima di tutto credervi. E applicare una magia di segno opposto.
Ecco il punto. Combattere il capitalismo, questa convenzione mistica, magica, religiosa generalizzata. Vi scriverò di una passeggiata in montagna sotto effetto di funghi allucinogeni, durante la quale siamo riusciti fosse anche solo per lo spaziotempo di un pomeriggio d'autunno a riconoscere e sconfiggere il Capitale in tutte le sue forme.
Non chiedetemi come, so solo che l'abbiamo fatto, e che si può fare di nuovo.
Quando tutto dentro di te dice: "vorrei rifarlo", di solito significa che il viaggio è andato bene.
Stavolta il viaggio è andato bene.
Ma mai penserei di rifarlo subito, in tempi brevi. C'è troppo da analizzare, troppo da imparare, troppo da scrivere, e anche purtroppo o per fortuna, troppo da vivere.
Si tratta dell'inesprimibile, inverosimile sensazione dello sperimentare la sensazione dell'estasi - in contatto diretto con Madre Natura. O con chi ti è vicino, e al medesimo tempo, in contatto con te stesso, con ogni particella del tuo corpo. E' fottutamente PESANTE, credetemi.
Iniziamo a mangiarli mentre usciamo dal paesino. Ci inerpichiamo sulla strada mulattiera che porta in cima alla montagna. A metà strada, più o meno, ci fermiamo presso una fontana. Una di quelle fontane di montagna dalle quali sgorga sempre acqua freschissima e limpidissima.
Inizia.
Le montagne sembravano parlarci, gli alberi e i boschi pure, tutto, nonostante il cielo fosse nuvoloso, era incredibilmente VIVO. La terra sembrava ribollire sotto la dura scorza.
Espressioni sinestetiche e motivi, da quelli più classicamente floreali a trame di fili che ricordano figure di donne dai morbidi e sinuosi contorni.
Si arriva sempre al punto in cui ti chiedi se ce la fai a sostenere urti emotivi di tale portata e puntualmente la risposta arriva, un secondo dopo: sì.
Può arrivare da dentro, come può arrivare dalla stessa luce di cui risplendono gli oggetti.
Oppure, dalle parole di un amico.
E poi, ancora la paura, la paura di non farcela, di morire, di rimanere soli. Tutto ritorna, a ciclo.
La confusione regna sovrana, e un nanosecondo dopo: ecco la risposta.
Gli amici servono, sono fondamentali; ma non solo servono, loro CI SONO, sono sempre li, quando ce n'è bisogno, e funzionano maledettamente bene. Questo movimento dialettico domanda-risposta, caos-ordine, durante la percezione estatica e sinestetica non esiste, semplicemente
E’
Si riscopre un ordine delle cose, un ordine diverso, altro.
I ragazzi e le ragazze di Tiqqun nella Comunità Terribile scrivono:
''Il vero e proprio altrove che ci resta da creare non può essere sedentario, è una nuova coerenza tra gli esseri e le cose, una nuova arte delle distanze.''[2]
Questo altrove, che è un qui AL TEMPO STESSO, si esprime in una contraddizione che è anche la stessa contraddizione che avviene nel momento esatto in cui il pensiero diventa parola, linguaggio, è un attimo, un istante incalcolabilmente (infinitamente) piccolo e quindi infinitamente grande.
La danza dei motivi floreali, dell'erba del prato che si anima e inizia a formare dolci figure che a loro volta danzano al ritmo forsennato dei pensieri.
In questo l'esperienza in fungo è metafisica, avvicina la physis all'invisibile, al mistero.
Ciò che è reale e ciò che non lo è.
E' per imparare questa nuova arte delle distanze che i funghi, e in generale gli psichedelici, possono essere estremamente utili.
Perché ti avvisano, ti dicono, ti fanno scattare qualcosa dentro, che le migliaia di barriere che costruiamo ogni giorno nei confronti delle altre persone hanno la possibilità di essere abbattute in qualsiasi momento.
Il sé si manifesta in un movimento continuo verso l'altro, ciò che è chiamata estasi (dal greco Ex, fuori, e stasis, stare, letteralmente “stare fuori”).
L'estasi è muta, poiché nel momento estatico tutto ci parla.
E allora, forse, aveva ragione Barthes.
La lingua divide, tanto quanto la politica, che certo ci appassiona.
E lì sta la contraddizione. Imparare a non dire e a fare, imparare il valore dell'amicizia, la caducità dell'amore, a guardarsi, a lottare, a giocare e a raccontarsi storie, ed è giusto nel momento in cui queste storie piccole piccole si incontrano che possono diventare delle grandi storie.
E' in quel punto, così difficilmente raggiungibile dall'essere umano fagocitato dai dispositivi metropolitani, che si instaura la magia del Comune.
E tutto ciò che ci è dato fare è tacere, in quel momento; solo dopo, da bravi esseri umani, tenteremo goffamente di trascrivere quel momento su carta, ciò che nel linguaggio comune è detto poesia.
E qui riprendiamo volentieri un pezzo di Raoul Vaneigem, tratto dal famoso Trattato di saper vivere ad uso delle nuove generazioni:
“La poesia è l'organizzazione della spontaneità creativa in quanto suo prolungamento nel mondo. La poesia è l'atto che genera realtà nuove. E' il compimento della teoria radicale, il gesto rivoluzionario per eccellenza.”[3]
Quindi, poesia non solo come parola detta o scritta, ma come atto, gesto, movimento estatico dell'Io-che-esce-da-sé.
Barthes ha ragione e torto al tempo stesso.
Il linguaggio non è fascista. C'è il linguaggio dei fascisti, come c'è il linguaggio dei compagni. Troviamo nuovi linguaggi, inventiamo nuove parole, per trovare nuovi compagni.
E' questa l'unica magia in cui vale la pena spendersi.
Gli psichedelici possono aiutare.
Solo, attenti a non esagerare

[1]U. Eco: Sette anni di desiderio, Bompiani, 2004 Bologna
[2]Tiqqun, La comunità terribile, sulla miseria dell'ambiente sovversivo, DeriveApprodi, 2003
[3]Raoul Vaneigem, Trattato di saper vivere ad uso delle nuove generazioni, Massari

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