Il primo gennaio è Capodanno dal 1691, come stabilì Papa Innocenzo
dando il via all’adozione di quella come unica data che sancisse l’inizio del
nuovo anno, unificando le diverse celebrazioni locali. Infatti anche dopo l’adozione
del calendario gregoriano, 1582, il momento iniziale dell’anno era fissato diversamente
all’interno della “Cristianità” (a
Venezia il 1 marzo, a Pisa e a Firenze
il 25 marzo, in Spagna il 25 dicembre...). Il Capodanno è una festività
religiosa di precetto che celebra la Santa Madre di Dio o Ottava di Natale e la
Circoincisione di Gesù ed è riconosciuta anche a livello civile. Ma le radici
del Capodanno sono più antiche di queste ricorrenze e rispondono al bisogno di
scandire il tempo in sezioni per orientarsi in esso, caricando di valori
simbolici alcune date. Bisogno sempre tale ma che si manifesta in maniera
diversa nel corso della storia. Presso gli antichi romani il dio Giano (da cui
il mese di Ianuarius, il nostro gennaio ovviamente, che inaugurava il nuovo
anno con l’introduzione del calendario giuliano) con le sue due facce
rappresentava il passaggio del vecchio anno al nuovo. Sempre presso Roma antica
era usanza scacciare dalla città un vecchio vestito di pelli che impersonava
Mamurio Veturio, per fare posto all’anno nuovo. Non è necessario ricordare che
anche le usanze attuali conservano quel carattere legato all’auguralità. Da
questo magma denso di spirito di superstizione, prima la Chiesa ha fissato una
data per unificare le varie diversità locali, successivamente elevata a festa
religiosa, poi tale data si è cristallizata in ricorrenza civile per rispondere
a quel bisogno di divisione del tempo. Ma è un bisogno di semplificazione.
Dovremmo aver imparato a capire che la data non è “ [...] un parapetto che
impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea
fondamentale immutata, senza bruschi arresti”[1].
Ma non è esattamente così, il Capodanno viene innalzato a scusa per crogiolarsi
nella possibilità di miglioramento, ingannando la propria storia nel tentativo
di inquadrarla in date che nemmeno gli appartengono. “Le soste me le scelgo da
me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo
nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni
ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse.
Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti
gli estranei che non mi interessano.”[2]
Senza parlare della grande macchina commerciale che si mette in moto a
Capodanno, che esaspera le aspettative, molte delle quali vengono disilluse.
Appunto perchè non si può ingannare la storia. Dovremmo piuttosto affezionarci
a quelle date che sono più “nostre”. La brevissima ricostruzione fatta mette in
luce come sia avvenuto uno iato (almeno apparente) tra la festività civile e
festività religiosa, mentre presso gli antichi Romani queste due sfere di
implicavano a vicenda. La divisione è necessaria, fa parte di quel percorso di
affermazione della consapevolezza delle cose. Ma ho parlato di apparenza perché
vi è una continua interferenza tra le due cose, ormai estemporanea ma ancora
riscontrabile: la sfera religiosa-superstiziosa, quel magma ancestrale appunto,
preme sul bisogno “civile” di scandire il tempo e allora ne seguono le varie e
fallaci convinzioni che si legano alla venuta del nuovo anno. Malata accidia
spirituale.
Per questo l’unico augurio che anche oggi, come gli altri
giorni rivolgo a me stessa è quello che “[...] ogni mattino sia per me un
capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni
giorno.”[3]
c.t.
c.t.
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