martedì 6 gennaio 2015

Il capodanno non lo odio ma quasi



Il primo gennaio è Capodanno dal 1691, come stabilì Papa Innocenzo dando il via all’adozione di quella come unica data che sancisse l’inizio del nuovo anno, unificando le diverse celebrazioni locali. Infatti anche dopo l’adozione del calendario gregoriano, 1582, il momento iniziale dell’anno era fissato diversamente all’interno  della “Cristianità” (a Venezia il 1 marzo,  a Pisa e a Firenze il 25 marzo, in Spagna il 25 dicembre...). Il Capodanno è una festività religiosa di precetto che celebra la Santa Madre di Dio o Ottava di Natale e la Circoincisione di Gesù ed è riconosciuta anche a livello civile. Ma le radici del Capodanno sono più antiche di queste ricorrenze e rispondono al bisogno di scandire il tempo in sezioni per orientarsi in esso, caricando di valori simbolici alcune date. Bisogno sempre tale ma che si manifesta in maniera diversa nel corso della storia. Presso gli antichi romani il dio Giano (da cui il mese di Ianuarius, il nostro gennaio ovviamente, che inaugurava il nuovo anno con l’introduzione del calendario giuliano) con le sue due facce rappresentava il passaggio del vecchio anno al nuovo. Sempre presso Roma antica era usanza scacciare dalla città un vecchio vestito di pelli che impersonava Mamurio Veturio, per fare posto all’anno nuovo. Non è necessario ricordare che anche le usanze attuali conservano quel carattere legato all’auguralità. Da questo magma denso di spirito di superstizione, prima la Chiesa ha fissato una data per unificare le varie diversità locali, successivamente elevata a festa religiosa, poi tale data si è cristallizata in ricorrenza civile per rispondere a quel bisogno di divisione del tempo. Ma è un bisogno di semplificazione. Dovremmo aver imparato a capire che la data non è “ [...] un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti”[1]. Ma non è esattamente così, il Capodanno viene innalzato a scusa per crogiolarsi nella possibilità di miglioramento, ingannando la propria storia nel tentativo di inquadrarla in date che nemmeno gli appartengono. “Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano.”[2] Senza parlare della grande macchina commerciale che si mette in moto a Capodanno, che esaspera le aspettative, molte delle quali vengono disilluse. Appunto perchè non si può ingannare la storia. Dovremmo piuttosto affezionarci a quelle date che sono più “nostre”. La brevissima ricostruzione fatta mette in luce come sia avvenuto uno iato (almeno apparente) tra la festività civile e festività religiosa, mentre presso gli antichi Romani queste due sfere di implicavano a vicenda. La divisione è necessaria, fa parte di quel percorso di affermazione della consapevolezza delle cose. Ma ho parlato di apparenza perché vi è una continua interferenza tra le due cose, ormai estemporanea ma ancora riscontrabile: la sfera religiosa-superstiziosa, quel magma ancestrale appunto, preme sul bisogno “civile” di scandire il tempo e allora ne seguono le varie e fallaci convinzioni che si legano alla venuta del nuovo anno. Malata accidia spirituale.
Per questo l’unico augurio che anche oggi, come gli altri giorni rivolgo a me stessa è quello che “[...] ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno.”[3]


c.t. 

  


[1] Antonio Gramsci, Sotto la mole 1916-1920.
[2] Ibidem
[3] Ibidem

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