L’affermazione di autonomia, ovvero di libertà, consiste nel rifiuto pratico di qualsivoglia autorità, delega e forma di rappresentanza.
Da intendersi sia come mezzo sia come fine, sia come metodo sia come principio.
È dunque un’attività che trova il proprio senso in se stessa, nella sua beata improduttività e inconcludenza. Il suo valore non si stabilisce in base a ipotetici risultati, ma solo in base alla sua intensità.
Chi non riesce a percepire ciò, a lasciarsene contagiare e incuriosire, ignora il significato profondo della parola educazione : non produzione in serie di idioti acquiescenti e remissivi ma (dal latino “ex-ducere”, condurre fuori) uscita, allegra rottura delle file del disciplinamento, coraggiosa evasione da una condizione di passiva ubbidienza.
Oggetto di severe critiche da parte di genitori insegnanti e giornalisti che di norma intonano all’unisono il ritornello l’autogestione è inutile non serve a niente è solo una perdita di tempo.
Occorre dare ragione a questi Grilli parlanti : un’autogestione non serve a nulla, nel senso che come ogni atto veramente libero e gratuito muove dal rifiuto di riconoscere, e quindi servire, qualsivoglia padrone.
Inoltre se il tempo è denaro l’unico criterio per valutare le nostre azioni è la funzionalità al profitto, allora proclamare un autogestione significa inaugurare una temporalità altra, non strumentale.
Perciò l’autogestione, quella vera non è esecuzione di un programma ma espressione dell’esigenza di interrompere la routine scolastica per fare altro.
L’occupazione mette in comune i suoi propri principi con l’autogestione ma li espande e potenzia, in quanto determina oltre alla riappropriazione del proprio tempo scolastico, l’occupazione dell’istituto anche negli orari di chiusura della scuola, e quindi il compimento, seppur temporaneo, dei concetti di autonomia e libertà.
Testo tratto da Nonostante Milano, 2008.
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