ovvero poche cose semplici che
bisogna dire per progredire
Premessa: il fascismo non esiste più.
“Movimento identitario nazionalista
xenofobo tradizionalista, che si rifà
a personaggi del fascismo storico, che riprende formule comunicative del
fascismo storico, costituito a partire da organizzazioni di destra derivate da
partiti politici derivanti da un partito neofascista costruito intorno al
defunto partito fascista, che ospita ex appartenenti a formazioni militanti di
estrema destra, che pratica entrismo nelle istituzioni appoggiandosi a partiti
populisti di destra, che promuove la costruzione di una rete internazionale di
strutture affini –che operano secondo le stesse modalità: intimamente fasciste per tradizione composizione e
obbiettivi ma senza l’aggettivo “fascista”
nel nome”:
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(foto: ricostruzione della libreria ex-cuem dopo uno sgombero)
|
se non si intende questo per “fascismo” allora è vero, il fascismo non esiste più. Se per definire un’organizzazione o una persona “fascista” è richiesto che si dichiari pubblicamente tale o si vesta come un gerarca da ventennio allora effettivamente non ci sono più fascisti. Se poi l’aspirazione a un capo carismatico che guidi la nazione fuori dalla crisi ristabilendo l’ordine e riportandola ai fasti che merita, l’ostilità per le minoranze, il desiderio di quiete e di lontananza dai problemi della contemporaneità, il rispetto inderogabile verso ogni tipo di autorità e l’inimicizia radicale per chi non vi si sottopone non sono affatto riconducibili al fascismo, sicuramente esso appartiene solo al passato. Infine, se le manifestazioni di pubblica stima verso esponenti della dittatura fascista non sono in nessun modo indizio di fascismo non esistono dubbi sulla sua scomparsa.
La
politica istituzionale non sembra avere un grande seguito all’Università
Statale di Milano: alle elezioni che ogni anno decidono la composizione
studentesca del senato accademico vota ogni volta circa il 10% degli aventi
diritto. Partendo da questi dati, è
interessante notare il rapporto tra il corpo studentesco e l’impegno politico “puro”, ovvero non mediato da istituzioni, soprattutto in ambiente
accademico. Si parla, per intenderci, di quello che accade quando l’università
ha a che fare con il cosiddetto “movimento”[1].Ogni volta che la politica tocca la
statale di Milano si verifica un fenomeno che interessa la maggioranza degli
studenti: solitamente priva di coesione ideologica o sociale, essa si trova d’accordo nel voler espellere quello che è ritenuto un elemento di disturbo della vita accademica,
quando non un sovvertimento dei suoi obiettivi; la maggioranza esprime questo
rifiuto con radicalità e convinzione, rivelandolo come
espressione di più profondi sentimenti.
Consideriamo
a titolo di esempio l’occasione più recente. Lo scorso 16 gennaio per impedire un’assemblea non autorizzata alla Statale di Milano, il
Comitato Provinciale per l’Ordine
Pubblico e la Sicurezza[2] su richiesta del Rettore decretò la chiusura –durata
tre giorni- della sede di via Festa del Perdono senza preavviso, corredandola
di un presidio di almeno 15 camionette tra polizia e carabinieri; davanti ai
cancelli, tutta la Digos di Milano e alcuni ragazzi rimasti chiusi fuori. Uno
strumento parziale ma comodo come la pagina Facebook “Spotted: Unimi”[3] (che raccoglie circa 31 000 utenti tra
le varie facoltà dell’ateneo)
raccoglie le reazioni degli studenti, quasi tutte improntate alla condanna dei “facinorosi”
che hanno costretto la prefettura ad una scelta forte –ma giustificata dal pericolo che l’edificio venisse devastato e gli iscritti messi a rischio.
Silvia riassume con chiarezza toni e contenuti di questa posizione: “Non avevate nessun diritto di fare la vostra patetica
assemblea da 4 soldi, avete rotto con i vostri patetismi e pretese. Io in
università ci vado per studiare, andate a casa
vostra a manifestare ZECCHE!”.
In altri commenti i mancati partecipanti all’assemblea
vengono definiti “coglioni ignoranti”, “beceri”,
“laidi”,
“lerci sovversivi”, “intellettuali da mcdonald’s”, “infoiati”, “animali sguaiati”, “gente che ha scambiato l’università
per un comizio permanente”: in generale prevale l’idea che chi voleva coinvolgere l’università
in un’iniziativa di politica “dal basso”
abbia compiuto un atto ingiustificabile e contrario agli interessi dei suoi iscritti,
che la decisione della prefettura sia necessaria a proteggerli e che comunque occuparsi di politica in modo attivo sia incompatibile con lo studio.
La questione sembra essere più
ampia dell’evento in sé; dopo un po’
a essere in discussione non è più
tanto la chiusura dell’università
ma la concezione del rapporto tra individuo e società[4]. Come spesso accade in questi
confronti –tanto online che dal vivo- le posizioni
si polarizzano e tutto si sviluppa con precisione tanto prevedibile da dare un
senso di distanza dalla realtà:
i pochi tentativi di costruire un dialogo utile ai partecipanti falliscono[5], e questi danno sfogo alle proprie
frustrazioni e insofferenze (il medium virtuale spinge ai suoi estremi questa
modalità: insultare qualcuno guardandolo in
faccia è assai più
difficile che farlo guardando uno schermo); ma per un twist logico quello che da una parte impedisce ai discutenti di
raggiungere altri risultati che una profonda irritazione ci è in questa sede utile ad approfondire i temi del loro
dibattere e a tentare di andare oltre.
Assumendo
che si può convincere un uditorio con una verità rivelata sfolgorante di auto-evidenza (chiamiamolo modello
Mosè) oppure costruendo un dialogo che
porti progressivamente a riconoscere una verità
basata su premesse condivise (modello Socrate), è
decisamente la prima a prevalere qui; i toni violenti vengono dalla convinzione
di sapere come stanno le cose, e che alcuni testardi rifiutino di riconoscerlo.
Dunque ci si esprime con la massima forza per rendere più evidente la verità:
ci si esprime con una sincerità
pressoché totale. Quando gli studenti si
esprimono come hanno sempre fatto i difensori dell'ordine costituito e i reazionari da
Cicerone a Feltri è perché ne condividono più o meno la visione del mondo[6].
“Ieri con un sasso hanno rotto una
vetrata, La libertà di espressione non è questa...BESTIE”
scrive Silvia nei giorni della chiusura dell’università. Un compendio perfetto: la voce non verificata (la notizia
non risulta da nessuna parte), l’accusa
data per certa e arbitrariamente rivolta ai “sovversivi”, il richiamo formale ai valori della società occidentale e infine la de-umanizzazione del nemico. Un nemico estraneo per cultura e
pratiche alla vita sana del corpo studentesco; concetto che risulta produttivo
all’analisi se consideriamo che “il primo appello di un movimento fascista o prematuramente
fascista è contro gli intrusi”[7].
(foto: un blecbloc si aggira in cerca di vittime)
In un saggio di vent’anni fa Eco sostiene che l’
“Ur-Fascismo” sia un insieme dai confini sfumati cui partecipano diversi
aspetti non necessariamente coerenti e sempre compresenti, ognuno dei quali è però
denotativo in senso fascista. Ciò
non significa che un movimento che possieda uno o più di questi aspetti sia il
movimento fascista (quello storico, dal ’22
al ’45) ma è
piuttosto un movimento fascista,
avendo in sé delle caratteristiche che connotavano
il fascismo storico come “fascismo”.
Parole
come “la Statale è antifascista”
esprimono una lodevole aspirazione piuttosto che una verità: la Statale (i suoi studenti) è normalmente afascista (indifferente al fascismo) e dunque
istintivamente fascista quando viene messa in discussione. Sembra
paradossale derivare tutto questo da una
potente diffidenza verso la conoscenza critica, ma è questa secondo me la fonte del problema.
Chi
coniuga lo studio con la militanza politica (e più
in generale a chi pratica militanza politica) è
accusato di occuparsi di qualcosa che esula dalle sue competenze e dalle sue
mansioni, qualcosa insomma che non ha diritto di fare. Parlando con Rachele,
studentessa, le ho chiesto cosa la spinge a definire illegittimo l’impegno politico (“trovo inaccettabile che qualcuno si
impegni di più
nella protesta, perdendo tempo che potrebbe usare per studiare): “l'inesperienza in
primo luogo…
credo che fare politica seriamente sia un vero lavoro, che richiede molto
impegno e sacrifici. Inoltre senza
una laurea il politico perde credibilità secondo me, basandosi solo sui sentimenti. Credo che in politica serva
anche la ragione”.
L’idea
che lo studio sia finalizzato alla pratica non è contemplata; la consapevolezza che ciò che si impara è solo nozione se non viene sottoposto a critica, e che la critica porta all’autonomia di pensiero è osteggiata o negata,
quando non semplicemente ignorata[8].
Citando ancora Eco: “lo
spirito critico opera distinzioni (..). Nella cultura moderna, la comunità scientifica intende
il disaccordo come strumento di avanzamento delle conoscenze. Per
l'Ur-Fascismo, il disaccordo è tradimento”. Schierarsi sulla
base dei propri studi mediati dalle proprie convinzioni è sbagliato; è tradire lo spirito dell’università. Di più, agli studi non viene riconosciuta funzione formativa, che si identifica
unicamente con la sanzione ufficiale del termine del corso (la laurea): nelle
parole di Rachele leggo un rispetto solo formale della cultura, e chi non ha
rispetto di quello che fa prende come un’offesa personale vedere altri dargli tanto valore da basarvici una parte
della propria vita. Operano ancora
categorie che non esistono: si pensa una società internamente coerente
in cui il posto di ognuno è garantito dal suo adeguamento al suo ruolo sociale e che è messa in pericolo da
chi interpreta il proprio ruolo in forma non rigida. Ovvero: lo studente non è solo uno studente, è un individuo che riveste vari ruoli sociali a seconda del contesto
(consumatore al supermercato, fattore sentimentale in una relazione, lavoratore
sul posto di lavoro, figlio fratello e a volte genitore in famiglia…): non riconoscerne la
necessaria complementarietà è una semplificazione che impedisce lo sviluppo del suo potenziale, ed
elevare a ideologia tutto questo assomiglia molto ad un pensiero fascista (cfr.
tutte le teorie su una comunità armoniosa rovinata dall’azione sovversiva di elementi estranei).
Può essere utile infine osservare questa tendenza dal punto di
vista del nostro modo di rapportarci con la diversità: alla veemente esclusione del "politico" si
accompagna infatti frequentemente il riconoscimento del suo diritto di condurre
come meglio crede la propria vita fino a che questo non vada a collidere con le
vite degli altri. Mentre
l'idea di un caffé senza caffeina o di una birra senza
alcool e perfino del sesso senza sesso (pornografia virtuale) sono tutte
praticabili, è assai problematica la questione della
politica senza rapporti umani, completamente separata dalla vita delle persone
-benché molto si stia facendo in questa
direzione negli ultimi tempi. Come scrive il filosofo Slavoj Žižek: "l'Altro va bene nella misura
in cui la sua presenza non è
intrusiva, nella misura in cui l'Altro non è
veramente Altro. Ciò che sta emergendo sempre di più come il diritto umano fondamentale nella società tardo-capitalistica è
il diritto di non essere molestati, cioè
di poter restare a distanza di sicurezza dagli altri."[9] Il
desiderio prevalente dello studente della Statale sembra essere quello di
essere lasciato in pace. Ogni volta che si verifica una situazione di
conflitto di qualsiasi tipo e intensità,
i suoi richiami all’ordine e al rispetto della legalità democratica e delle istituzioni rivelano dopo una breve
indagine un appello più profondo e sentito: quello che
rivendica il diritto al disinteresse. Il grido di battaglia della maggioranza
degli iscritti all’ateneo? Fate ciò che volete, ma fatelo lontano da qui e
da me.
[1] Termine sostituibile con “antagonisti”,
“centri
sociali”, “notav”, “compagni
organizzati”, “blecbloc”,
“no
global”, “zecche”
o qualsivoglia a seconda delle preferenze politiche e senso dell’umorismo.
[3] Tutte le citazioni riportate provengono dalle pagine fb Spotted: Unimi e
Letterati Disperati rispettando la grafia originale.
[4] Questione che si ripropone intatta ad ogni evenienza dell’incontro
tra politica e Università, tale che le citazioni riportate
potrebbero riferirsi a episodi degli anni passati –divertente
ipotizzare che potrebbero essere inseriti senza problemi in discussioni vecchie
di decenni- e che non è intervenuta nessuna differenza con l’avvento
dei social network (le pagine fb da cui provengono i commenti esistono dal 2013
e del 2011). Chiaramente essa non è
che l’aggiornamento di un problema più
ampio, che ridotto al nocciolo potrebbe esprimersi con “qual
è
il limite dell’obbedienza?”
o “qual è
il motivo dell’obbedienza”,
o anche “fino a dove può
arrivare il principio di delega prima di risultare nocivo?”.
[5] È
comunque impressionante che persone con almeno 13 anni di scuola alle spalle e
inserite in un contesto che si suppone formativo e stimolante non riescano ad
interagire con dinamiche diverse da quelle di una rissa verbale; cosa che forse
meriterebbe una trattazione a parte, e che forse costituisce il vero fulcro di
questo articolo.
[6] E quando studenti di opinione contraria li definiscono “pecore”,
“lobotomizzat(i)”
e “stupid(i)…benpensant(i)”
intendono esattamente questo; pur se entrambe le fazioni si negano
vicendevolmente statuto di “umanità”, è interessante notare come quella che
richiama al rispetto dell’Ordine faccia di questo una sorta di
manifesto politico informale mentre in quella opposta sia più
che altro una reazione. Da qui la scelta del “partito
dell’Ordine”
come oggetto di analisi.
[9] Slavoj Žižek,
Il diritto di non essere molestati,
in Distanza di Sicurezza, manifesto
libri, 2005
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