Per impedire un’assemblea non autorizzata nella Statale di Milano,
il Comitato Provinciale per l’Ordine Pubblico e la Sicurezza
(questore, sindaco, presidente della provincia e comandanti delle
forze dell’ordine), su richiesta del Rettore, ha blindato la sede
in via Festa del Perdono senza preavviso, corredandola di un presidio
di almeno 15 camionette tra polizia, carabinieri e digos.
Presi di sprovvista gli studenti, che si sono trovati davanti il foglio appeso alla porta serrata della sede centrale, che riferiva di “chiusura per motivi di sicurezza”. Tale misura si è protratta da venerdì 16 a domenica 18 inclusi, a fronte di un’assemblea prevista per sabato pomeriggio.
Facendo ricorso a stereotipi di circostanza come “notav e blecbloc”, rivangando episodi di cronaca datati 2013 peraltro mai chiariti e paventando disordini e pericolo per gli studenti, rettorato, giornalisti e prefettura operano una consapevole distorsione dei fatti sia per fomentare una tensione che, di fatto, non trova nessun riscontro nella realtà, sia per spostare una questione prettamente politica sul campo scivoloso della “sicurezza” – termine da anni al centro del lessico istituzionale, il cui significato appare sempre meno chiaro e più labile.
Questione “prettamente politica” interessante che riguarda, ad esempio, la partecipazione attiva di Unimi all’organizzazione di Expo - eventi, convegni, cene ospitate nell’ateneo - o l’aumento delle tasse universitarie e la diminuzione delle borse di studio, argomenti che si tenta di evitare parlando appunto di “sicurezza”.
Si può chiudere un luogo pubblico arbitrariamente per tre giorni per presunti motivi di ordine pubblico.
Si può disgregare il corpo studentesco già pressoché inerte, stabilendo che ha bisogno di essere protetto da misteriosi nemici antagonisti.
I fatti comunque restano questi: l’assemblea era prevista nel settore didattico di Festa del Perdono, chiuso al pubblico sia il sabato che la domenica, e non avrebbe disturbato, né messo in pericolo, le attività degli studenti. Pare eccessivo il massiccio dispiegamento di forze di polizia a fronte di un’assemblea, ossia di un momento di discussione, che certo non prospetta scenari da guerriglia urbana. Forse un fatto controverso che si potrebbe spiegare con la volontà di ridurre ogni dissenso a una questione di ordine pubblico.
Ma a che serve studiare se non si impara a pensare? E anche la discussione e il dissenso sono forme di pensiero. Forme che non possono essere represse, ostacolate o blindate.
Presi di sprovvista gli studenti, che si sono trovati davanti il foglio appeso alla porta serrata della sede centrale, che riferiva di “chiusura per motivi di sicurezza”. Tale misura si è protratta da venerdì 16 a domenica 18 inclusi, a fronte di un’assemblea prevista per sabato pomeriggio.
Facendo ricorso a stereotipi di circostanza come “notav e blecbloc”, rivangando episodi di cronaca datati 2013 peraltro mai chiariti e paventando disordini e pericolo per gli studenti, rettorato, giornalisti e prefettura operano una consapevole distorsione dei fatti sia per fomentare una tensione che, di fatto, non trova nessun riscontro nella realtà, sia per spostare una questione prettamente politica sul campo scivoloso della “sicurezza” – termine da anni al centro del lessico istituzionale, il cui significato appare sempre meno chiaro e più labile.
Questione “prettamente politica” interessante che riguarda, ad esempio, la partecipazione attiva di Unimi all’organizzazione di Expo - eventi, convegni, cene ospitate nell’ateneo - o l’aumento delle tasse universitarie e la diminuzione delle borse di studio, argomenti che si tenta di evitare parlando appunto di “sicurezza”.
Si può chiudere un luogo pubblico arbitrariamente per tre giorni per presunti motivi di ordine pubblico.
Si può disgregare il corpo studentesco già pressoché inerte, stabilendo che ha bisogno di essere protetto da misteriosi nemici antagonisti.
I fatti comunque restano questi: l’assemblea era prevista nel settore didattico di Festa del Perdono, chiuso al pubblico sia il sabato che la domenica, e non avrebbe disturbato, né messo in pericolo, le attività degli studenti. Pare eccessivo il massiccio dispiegamento di forze di polizia a fronte di un’assemblea, ossia di un momento di discussione, che certo non prospetta scenari da guerriglia urbana. Forse un fatto controverso che si potrebbe spiegare con la volontà di ridurre ogni dissenso a una questione di ordine pubblico.
Ma a che serve studiare se non si impara a pensare? E anche la discussione e il dissenso sono forme di pensiero. Forme che non possono essere represse, ostacolate o blindate.
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