venerdì 14 agosto 2015

L'amore in sintesi: ragionamenti sull'MDMA

Cosa rimane di noi quando siamo sotto l'effetto di una sostanza psicotropa?
In che termini l'amore provato sotto effetto di una sostanza empatogena[1] è reale?
Si tratta di un'esperienza che ha effettivamente luogo, quindi  materiale, di questa terra, oppure di un'immagine “spettacolare” dell'amore vero, di un trucco, un trabocchetto serotoninico, che dura il tempo di un trip e che poi svanisce nel nulla?

Penso che l'esperienza estatica indotta (da una qualsiasi pratica, dalla meditazione all'assunzione di piante o sostanze chimiche al fine di modificare il proprio stato di coscienza) è reale nella misura in cui le azioni compiute sotto effetto della sostanza, o della pratica in questione, si oggettivano nel mondo che per la gran parte degli altri esseri umani è considerato quello reale.
Qualsiasi azione nel momento in cui viene compiuta e si trasforma in atto poetico di trasformazione, diviene reale, perché diviene manifesta anche a chi è sotto stato di veglia quotidiana, nello stato che noi definiremmo di “lucidità”.

Non ho trovato parole migliori per definire l'estasi:
“Il sentimento metafisico dell'esistenza è di natura estatica, e ogni metafisica affonda le sue radici in una forma particolare di estasi. A torto si ammette solo la variante religiosa. Esiste infatti una molteplicità di forme che, dipendendo da una formazione spirituale specifica o dal temperamento, non portano necessariamente alla trascendenza.
Perchè non dovrebbe esserci un'estasi dell'esistenza pura, delle radici immanenti della vita? E una tale forma estatica non si realizza nell'approfondimento che squarcia i veli superficiali per facilitare l'accesso alla sostanza del mondo? Pervenire alle radici del mondo, conseguire l'ebbrezza suprema, l'esperienza dell'originale e del primordiale significa vivere un sentimento metafisico sorto dall'estasi degli elementi essenziali dell'essere. L'estasi come esaltazione dell'immanenza, illuminazione, visione della follia del mondo – ecco una base per la metafisica, valida persino per gli ultimi istanti, per i momenti della fine. L'estasi vera è rischiosa.”[2]
Ecco, io vorrei qui parlare dell'estasi in Ecstasy.
L'ecstasy è il nome comunemente diffuso di una sostanza chiamata MDMA. Il nomignolo che gli è stato affibbiato dalla club culture non è casuale.
Essa è chiamata anche love drug, droga dell'amore: cos'è l'amore se non una forma di estasi?
Il movimento continuo del sé-verso-l'altro, la tendenza al congiungersi in un atto, cosa sono se non tentativi più o meno riusciti di completamento del sé?
L’uso di questa sostanza modificato radicalmente il mio atteggiamento nei confronti dell'amore, e , più in generale, la mia concezione del rapporto con l'Altro. Perciò mi sono posto alcune domande.
Dopo l'assunzione, l'onda di serotonina che sommerge il nostro corpo ha l'effetto di una freccia di Cupido, solo che sostituisce il “tradizionale” bersaglio (umano e singolo) con la totalità del mondo, secondo un principio di entusiasmo che tutto abbraccia e tutto comprende.
È ora difficile, in così poche parole, descrivere le sensazioni durante un'esperienza, anche se sarebbe interessante farlo. Mi limiterò a porre una domanda, su cui sarebbe interessante soffermarsi: l'ecstasy può, se depurata il più possibile dai suoi contenuti ludici e commerciali, costituire una buona base su cui partire per l'acquisizione di una nuova educazione sentimentale ed emotiva?
Sarebbe etico fornire un mezzo di conoscenza estatica così potente come la MDMA, per sviluppare un’ educazione all'amore, che non si può sviluppare in altro modo che facendolo, provandolo, sperimentandosi, continuando a gettare ponti l'un l'altro?

La produzione di una filosofia dell'amore va di pari passo con lo sviluppo delle ricerche che ci possono permettere di stabilire il danno che provoca la sostanza (il si tratta di una sostanza scoperta quasi ad inizio '900, ma sintetizzata e diffusa solo a partire dai primi anni '80: il danno c'è, ma non se ne conosce l'entità precisa e il dibattito è acceso e in corso).
Le risposte stanno in ognuno di noi, nella capacità di ciascuno di andare oltre i pregiudizi e, nella volontà di curiosare nei nuovi mondi, per immaginarne uno nuovo e più bello.
Ma “gettare ponti”, come fare rivoluzioni o scoprire nuovi mondi, presuppone il rischio del fallimento. Dalle parole di Cioran: “L'estasi vera è rischiosa.”[3]
Sta a ciascuno di noi decidere se rischiare, o meno.

Sugli empatogeni e un uso rivoluzionario

Le sostanze psicoattive, e in particolare gli empatogeni, possono essere un veicolo di riconoscimento e di avvicinamento a ciò che per noi è il bene? Dovremmo attribuire all'amore, all'atto d'amore, cioè nel movimento di uscita da sé stessi verso il mondo, il più grande potenziale sovversivo.
Posso conoscere meglio i miei compagni e riconoscere meglio i miei nemici mediante l'uso di sostanze e/o metodi per raggiungere stati alterati di coscienza? E ancora: a cosa è dovuta la particolare opinione di molti compagni sull'uso di sostanze, viste come “arma del potere”? Quanto è pericoloso il tabù che circola in molti ambienti, che porta la droga ad essere vissuta come palliativo e/o momento di astrazione dalla vita, proprio perché ne manca la dimensione comune? Perché tutti (o quasi) quelli che conosco fanno regolarmente uso di sostanze e nessuno sembra volerne parlare in termini di uso collettivo? In una società monofasica come questa (che riduce cioè la possibilità di esperienza alla sola dimensione della ragione e del pensiero operativo), sarebbe sensato perdere un'importante risorsa di conoscenza e azione e una potente molla a costituirsi in comunità? L'estasi e l'entusiasmo, in quanto forme d'amore, se veicolate nelle nostre forme di vita tramite induttori chimici esterni, avrebbero ancora il senso profondo che mantengono? Oppure si tratterebbe di un sentimento illusorio?

Premettendo che non si tratta di scoprire nessuna “chiave di volta”, ma di sperimentare insieme nuove forme di vita-in-comune, mi chiedo se tutte queste domande troveranno una risposta che non sia l'effettivo uso collettivo delle sostanze stesse. Il punto è soppesare il rischio che comporta l'assunzione, e la capacità del gruppo di sussumere l'uso della sostanza ponendosi obiettivi sempre altri che non l'uso stesso. Ma in quanto a questo non penso ci sia un rischio reale: ciò che lega una comunità è qualcosa di ben diverso e più completo di una sostanza chimica.
L'MDMA apre dei canali sconosciuti agli oppiacei e agli allucinogeni. L'amore è intensità: l'MDMA ha l'effetto di svelare l'intensità, non di crearla. Se siamo già innamorati di una persona, sotto effetto della sostanza non lo siamo di più: semplicemente ce ne accorgiamo.
Così è stato per tre persone che ho conosciuto e delle quali mi sono innamorato: l’amore era lì, dentro di me, che esondava, e tutti i dispositivi del mondo non sarebbero riusciti ad arginarlo.
L’MDMA mi ha “costretto” a guardare in faccia ciò che provavo, in tutta la sua folle contraddizione.

Durante l’esperienza manteniamo la capacità di discernimento, a meno che non si ecceda con la dose.
Anzi, nella maggior parte dei casi, oltre a ricordarsi tutto ciò che si è vissuto diventa quasi automatico riuscire a discernere ciò che vogliamo da ciò che non vogliamo.

La tristezza è parte integrante della nostra vita: e sotto MDMA non diventiamo certo più allegri: siamo allegri quando stiamo con i nostri amici, quando amiamo, lottiamo, produciamo, viviamo.
La sensazione che si ha sotto effetto è quasi un esser trascinati, vivendo un continuum di momenti e situazioni di forte ed essenziale presa di coscienza, verso ciò che ci rende allegri.
Non è sempre detto che l'assunzione abbia un effetto positivo: capita di sbagliare il luogo, il dosaggio, la compagnia; dipende dal modo in cui ci si approccia ad una situazione.
In una situazione di malessere, L’MD rende ancora più manifesto, più fisico, lo stare male.

Drogarsi dovrebbe aiutare a capire cosa fa stare bene e cosa no: se drogarti è l'unica cosa che ti fa star bene, hai un problema di tossicodipendenza.

La droga come strumento critico

Quindi, la droga è strumento e non fine. Questo è il primo principio a cui non bisogna mai rinunciare, altrimenti si rischia di scivolare nell'abuso. L'abuso è sempre un rischio concreto: nel caso della droga, ad una grande gratificazione si associa un grande rischio.
Servono una mappa e una bussola per orientarsi nell'immenso mondo degli stati alterati di coscienza: una mappa e una bussola che, nei riti degli indiani d'America e in tante altre culture, erano fornite dallo sciamano, che aveva appunto il ruolo di “guidare” gli iniziati nell'altro mondo, per portarli indietro sani e salvi.
Ma dato che i sacerdoti non ci stanno molto simpatici, crediamo in un processo più corale, dove ognuno possa, con l'esperienza, essere "lo sciamano di tutti gli altri", generando un circolo virtuoso di aiuto e contaminazioni reciproche.
La rivolta, lo scontro, la comunanza, il ballo, la meditazione: sono tutti stati di trance o di estasi a seconda dei casi. Riuscire a comprendere collettivamente come viverli il più intensamente possibile è uno degli effetti che potrebbe avere la sperimentazione collettiva di MDMA.

Questa è la nostra proposta: prima di prenderla seriamente, sarebbe necessario sviluppare una critica al proibizionismo parallelamente a una liberalizzazione delle ricerche in campo medico e psicologico, lasciandoci indietro tutti i timori che la scoperta e la diffusione di una sostanza porta con sé.



Nota finale: L'articolo non ha l'intenzione di promuovere l'uso sconsiderato di sostanze pericolose, ma, al contrario, ha l'obiettivo di diffondere consapevolezza riguardo un uso ragionevole e più attento alle sfumature che trascendono l'uso esclusivamente ludico e “sballone” di suddette sostanze.
Troppi ne fanno un uso costante, non solo nel giro raver o alternativo: è necessario aprire un dibattito serio sull'argomento, affrontando il tema da più angolature.


Bibliografia:
N. Saunders, E come ecstasy, Feltrinelli, 1996
S. Shulgin, Phikal & Thikal, disponibile online

Filmografia:
Ann e Sasha Shulgin – Dirty Pictures.



[1] Empatogeni: sostanze psicotrope, perlopiù fenetilamine di cui l’MDMA fa parte, generatrici di empatia
[2] E. Cioran, Al culmine della disperazione, Adelphi, 1998
[3] Ibidem

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